La tutela del diritto alla bigenitorialità dei figli minorenni al tempo del covid-19
10 Agosto 2020
I vari DPCM hanno previsto anche il diritto di visita?
In questa sede ci occuperemo proprio della prole dei separandi coniugi e della sua gestione ai tempi del coronavirus, in quanto sono tante le criticità che possono investire i rapporti familiari e purtroppo accade spesso che la tutela del diritto alla salute dei figli minori ovvero le problematiche di natura economica vengano volutamente enfatizzate e strumentalizzate, al sol scopo di acuire risentimenti e voglia di prevaricazione tipici delle peggiori separazioni.
Va, infatti, preliminarmente specificato che l’emergenza sanitaria non può e non deve essere utilizzata come uno strumento di ripicche che coinvolgono i minorenni.
In un momento storico in cui i minori, già psicologicamente provati da tale situazione eccezionale di isolamento forzato, soffrono della mancanza di quotidianità fatta, tra l’altro, di scuola, compagni ed attività sportive/ricreative, la pandemia non può e non deve essere “usata” al fine di ledere il diritto dei minori e del genitore c.d. non collocatario, alla bigenitorialità, diritto fondato sull’articolo 30 della Costituzione e sull’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
La continuità del rapporto genitore/figlio, attuata con il diritto di visita, è fonte di supporto psicologico e di affetto per i minori e non può che aiutarli a meglio gestire questa particolare situazione.
L’affidamento condiviso trova fondamento nell’art. 337 ter c.c., introdotto dal D.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, che, modificando la precedente previsione (art. 155 L. 54/2006), prevede il diritto del minore a mantenere un rapporto equilibrato con entrambi i genitori.
Adesso, lasciando stare tutte le problematiche sorte in merito all’affidamento condiviso, questo rapporto equilibrato ha vacillato, durante l’emergenza sanitaria, proclamata a seguito della pandemia da corona virus.
Il diritto di visita e il corrispondente diritto del minore a un rapporto equilibrato e costante col genitore non collocatario hanno subito una compressione, in certi casi totale per via dell’assenza di una normativa specifica e per alcune pronunce di Tribunali che hanno interpretato in maniera molto restrittiva i vari Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri che si sono avvicendati durante questa emergenza.
Il primo intervento con cui l’Italia ha preso atto della dichiarazione di emergenza, resa nota da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, è stato la Delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020, con cui è stato dichiarato lo stato di emergenza per 6 mesi dall’emanazione del suddetto provvedimento.
Con l’adozione della disciplina emergenziale – che verrà di seguito ripercorsa – per limitare gli spostamenti delle persone si è posto immediatamente, tra gli altri, il problema della frequentazione dei figli minori con il genitore non collocatario.
Il problema del diritto di visita non è stato disciplinato espressamente dai provvedimenti adottati dal Governo e quindi si è ipotizzato di rinvenire la soluzione al problema nella normativa generale dettata per gli «spostamenti», con riferimento al DPCM 8 marzo 2020, al DPCM 9 marzo 2020 e al DPCM 22 marzo 2020.
L’art. 1, co. 1, lett. a) del DPCM 8 marzo 2020 prevedeva – con riferimento unicamente alle c.d. “zone rosse” – di «evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo, nonché all’interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute. È consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza; (…)».
Tale disposizione, dapprima concernente solo i limitati territori indicati, è stata estesa a tutto il territorio nazionale dall’art. 1 del DPCM 9 marzo 2020.
Il provvedimento è chiaro, il genitore non collocatario non avrebbe potuto spostarsi dalla sua residenza o dimora per poter vedere i figli, non essendo contemplata questa ipotesi nella norma.
Al vuoto normativo il Governo, però, ha rimediato subito con un chiarimento.
Il 10 marzo 2020, infatti, il sito del Governo Italiano ha chiarito: «sì, gli spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso l’altro genitore o comunque presso l’affidatario, oppure per condurli presso di sé, sono consentiti, in ogni caso secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione o divorzio».
Questo chiarimento, quindi, ha concesso ai genitori nono collocatari, di continuare a vedere i propri figli.
Sulla riga di questo intervento governativo, il Tribunale di Milano, con sentenza dell’11/03/2020, chiarisce che le disposizioni limitative degli spostamenti per effetto del Coronavirus non sospendono il calendario dei tempi di frequentazione genitori/figli, che dunque deve proseguire con le modalità previste dai provvedimenti di separazione/divorzio (Tribunale di Milano, Decreto 11 marzo 2020).
Ovviamente le modalità di esercizio del diritto di visita dovranno coniugarsi con le disposizioni generali ed essere interpretate, soprattutto, alla luce del buon senso: evitare gli spostamenti con mezzi pubblici, evitare di mettere in contatto i minori con situazioni potenzialmente a rischio, evitare il contatto tra i minori e i nonni o con altri soggetti maggiormente esposti al rischio di contrarre il Covid-19.
Diverso orientamento ha seguito, invece, il Tribunale di Matera che con provvedimento, emesso in data 12 marzo 2020, segue l’interpretazione giurisprudenziale attenta al bilanciamento degli interessi in gioco e cioè il contemperamento dell’interesse alla bigenitorialità e quello alla salute individuale e della collettività.
Nell’ambito di un procedimento per l’affidamento di figli nati fuori dal matrimonio la madre, genitore collocatario della prole, presentava istanza urgente ai fini della sospensione delle visite tra padre e figlio, che avvenivano in modalità protetta, in considerazione della situazione di emergenza sanitaria.
L’organo giudicante ha così stabilito: «nel bilanciamento tra l’interesse del minore a mantenere un rapporto significativo con il padre e quello a restare in casa per evitare il rischio del contagio Covid-19, ritiene debba prevalere quest’ultimo, in quanto funzionale alla tutela del superiore interesse della salute, anche in considerazione del limitato periodo temporale di sacrificio del rapporto padre-figlio».
In scenario già carico di norme, dubbi e interpretazioni, è intervenuto il DPCM 22 marzo 2020, il quale ha fatto un passo indietro rispetto alle problematiche sciolte dai precedenti interventi governativi: l’art. 1, co. 1, lett. b) – sempre con riferimento agli spostamenti intesi in via generale – ha infatti previsto che «è fatto divieto a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, in un comune diverso rispetto a quello in cui attualmente si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute; conseguentemente all’art. 1, comma 1, lettera a), del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020 le parole “è consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza” sono soppresse».
Secondo il tenore letterale della norma, il divieto si sarebbe esteso anche alle frequentazioni genitori-figli relativamente a quei casi in cui vi sia stata necessità di spostarsi da un comune all’altro.
Ma vi è di più.
Infatti, l’eliminazione della dicitura «è consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza», da un lato, ha escluso la possibilità per il minore di recarsi dal genitore non collocatario e, dall’altro, si è tradotta nell’impossibilità per il minore di rientrare nella casa del genitore collocatario e, dunque, nell’obbligo di restare nell’abitazione del genitore non collocatario fino alla data di efficacia del decreto, ovvero il 3 aprile 2020.
Un nuovo spiraglio è arrivato a pochi giorni di distanza con il D.L. 25 marzo 2020, n. 19, entrato in vigore il giorno successivo.
Esso ha previsto all’art. 1, co. 2 lett. a) la «limitazione della circolazione delle persone, anche prevedendo limitazioni alla possibilità di allontanarsi dalla propria residenza, domicilio o dimora, se non per spostamenti individuali, limitati nel tempo e nello spazio e motivati da esigenze lavorative, da situazioni di necessità, da motivi di salute o da altre specifiche ragioni».
Nella nuova formulazione l’assenza del riferimento al territorio comunale, la scomparsa dei termini “comprovate esigenze di assoluta urgenza” e di contro la comparsa della possibilità degli spostamenti per specifiche ragioni sembrava far rivivere l’esercizio del diritto di visita, sia nel territorio comunale che extra comunale.
La Corte di Appello di Bari, chiamata a pronunciarsi, in data 26 marzo 2020, sulla richiesta da parte della madre (genitore collocatario) di sospendere gli incontri tra padre e figlio minore, ha accolto l’istanza.
La Corte rileva da un lato, che gli incontri del minore con genitori dimoranti in comune diverso non sarebbero rispettosi della normativa emessa fino a quel momento (cfr. DPCM 9 marzo 2020, DPCM 11 marzo 2020, DPCM 21 marzo 2020, DPCM 22 marzo 2020) e dall’altro, che non è possibile verificare che il minore non sia stato esposto a rischio sanitario nello spostamento da un’abitazione all’altra.
Ma si spinge oltre e afferma che «il diritto-dovere dei genitori e dei figli minori di incontrarsi, nell’attuale momento emergenziale, è recessivo rispetto alle limitazioni alla circolazione delle persone, legalmente stabilite per ragioni sanitarie, a mente dell’art. 16 della Costituzione, ed al diritto alla salute, sancito dall’art. 32 Cost.», concludendo che fino al 3 aprile 2020 «appare necessario interrompere le visite paterne, e che è necessario disporre che, fino a tale data, il diritto di visita paterno sia esercitato attraverso lo strumento della videochiamata, o Skype, per periodi di tempo uguali a quelli fissati, e secondo il medesimo calendario».
Il Tribunale di Vasto ha optato per un decreto fortemente limitativo, in conformità a Corte d’Appello di Bari, 26 marzo 2020, dallo stesso richiamato.
Nel bilanciamento dei diversi diritti coinvolti, diritto alla salute pubblica, diritto alla bigenitorialità del minore e diritto/dovere di visita del genitore, il decreto in commento ha di fatto sospeso il diritto/dovere di visita, nei limiti dell’incontro c.d. “in presenza”, sostanzialmente per tre ragioni, poiché nel caso di specie: 1. il padre è rientrato nella propria residenza da una città ad alto tasso di contagio virale; 2. non è dimostrato che il padre abbia rispettato le prescrizioni imposte dalla normativa vigente, tra cui l’isolamento domiciliare fiduciario e 3. non sarebbe emerso se nell’ abitazione di destinazione fossero presenti altre persone oltre all’istante.
Non possono non condividersi tali assunti se solo si pensa che tra i doveri rientranti nella responsabilità genitoriale viene annoverato anche e soprattutto quello di tutelare la salute del minore.
Purtuttavia, il Tribunale di Vasto ha salvaguardato comunque il diritto all’incontro, seppure virtuale, stabilendo colloqui telefonici riservati in videochiamata con la figlia minore, secondo un calendario puntualmente indicato, e diffidando la madre dal tenere comportamenti che possano limitare o impedire tale diritto. Certamente, il diritto di visita “in presenza” e strictu sensu inteso è solo sospeso.
Ciò non esclude, infatti, che al termine dell’emergenza sanitaria, venga posta fine alla sospensione e tale diritto tornerà certamente a riespandersi, con la possibilità di una sorta di “recupero” del tempo in cui è stato sacrificato seppur nei limiti delle eventuali nuove disposizioni di contenimento di volta in volta stabilite.
Di pari orientamento è il Tribunale di Terni, che con la pronuncia del 30 marzo 2020, ha rafforzato tale concetto estendendolo anche alle c.d. “visite protette”, che i servizi sociali hanno sospeso fino al perdurare dell’emergenza sanitaria.
Anche il Tribunale di Terni ha posto in essere un bilanciamento degli interessi di pari rango costituzionale, quello alla tutela della bigenitorialità e quello alla tutela della salute, individuando una modalità di frequentazione genitore-figli che, pur assicurando il costante contatto, non metta a rischio la salute psicofisica dei minori.
Sarà onere dei servizi sociali organizzare le visite protette, evitando lo spostamento ed il contatto diretto delle parti e degli operatori, che potranno operare in modalità di lavoro agile o da remoto, perché gli incontri dovranno avvenire in videochiamata con Skype o Whatsapp o con altre modalità compatibili con le dotazioni delle parti e degli operatori, previa idonea preparazione dei figli ed assicurando che sia l’operatore a mettere in contatto il genitore con ciascuno dei figli, assicurando la propria presenza per l’intera durata della chiamata.
In linea con il Tribunale di Milano invece si è posto anche il Tribunale per i Minorenni di Roma che in data 6 aprile 2020, si è pronunciato in favore della frequentazione tra padre (genitore non collocatario) e figlio.
Il Tribunale capitolino non solo ha citato le linee guida adottate dal Governo nel mese precedente, ma ha richiamato un elemento che non è mai stato preso in considerazione dalle precedenti pronunce: il modulo per la autocertificazione.
Il Tribunale ha fatto notare che tale modulo – così come aggiornato a quella data – tra le circostanze che legittimano lo spostamento ricomprende gli obblighi di affidamento di minori.
Ma la sequenza dei decreti non si è esaurita e, anzi, appare ancora più insistente: la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha emesso il DPCM 10 aprile 2020 che all’art. 1, co. 1, lett. a) prevede che «sono consentiti solo gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero per motivi di salute e, in ogni caso, è fatto divieto a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, in un comune diverso rispetto a quello in cui attualmente si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute e resta anche vietato ogni spostamento verso abitazioni diverse da quella principale comprese le seconde case utilizzate per vacanza».
Con questo provvedimento il Governo ha nuovamente soppresso il diritto di visita nel territorio extra comunale.
È, infine, intervenuto il DPCM 26 aprile 2020 che all’art. 1, co. 1, lett. a) dispone che «sono consentiti solo gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero per motivi di salute e si considerano necessari gli spostamenti per incontrare congiunti purché venga rispettato il divieto di assembramento e il distanziamento interpersonale di almeno un metro e vengano utilizzate protezioni delle vie respiratorie; in ogni caso, è fatto divieto a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, in una regione diversa rispetto a quella in cui attualmente si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute; è in ogni caso consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza».
Anche stavolta, con questo ultimo provvedimento, il Governo ha fugato ogni dubbio circa l’esercizio del diritto di visita, all’interno della Regione ma ha lasciato un vuoto normativo per quanto riguardava lo spostamento tra Regioni per incontrare i figli non collocatari, vuoto colmato dalla pronuncia resa dal Tribunale per i Minorenni di Trento, in data 8/05/2020 che a condizione di viaggiare con mezzi propri rispettando le misure anti contagio (obbligo di mascherine e guanti, distanze ecc.) e di muoversi solo nei giorni concordati e solo per raggiungere le proprie abitazioni, ha accolto la richiesta fatta da due genitori separati di vedere il proprio figlio di sei anni, spostandosi da una regione all’altra.
Il giudice ha chiarito: «premesso che ogni misura limitativa al diritto di bigenitorialità costituisce un’ingerenza al diritto familiare, si deve ritenere che ogni misura restrittiva può essere disposta solo sulle basi di comprovate esigenze, rispetto alle quali l’autorità giudiziaria deve esercitare un rigoroso controllo».
L’eventuale sospensione del diritto di visita dovrà essere compensata con maggiori contatti fra genitore/figlio e non dovrà essere intesa, dall’altro genitore, come una sospensione “totale” del diritto di visita.
Infatti, dovranno essere censurati quegli atteggiamenti aggressivi e prevaricatori dei genitori che non intendano mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con l’altro genitore.
La quarantena, come si diceva, non potrà essere utilizzata come strumento per eliminare il rapporto genitore/figlio.
In conclusione, in mancanza di una normativa specifica, in ipotesi di oggettiva difficoltà di esercizio del diritto di visita, si reputa opportuno rappresentare tali contingenze all’altro genitore, al fine di evitare comportamenti pregiudizievoli per la prole e scongiurare conseguenze sanzionatorie in ambito sia civile che penale.
Sarà possibile ricorrere in via d’urgenza al Tribunale o, qualora tra i coniugi vi fosse un rapporto collaborativo, formalizzare un accordo tra le parti, nelle separazioni già cristallizzate, oppure specifici accordi nei procedimenti di separazione da incardinare, anche per il tramite di una negoziazione assistita, che preveda la modifica formale delle condizioni di separazione e degli obblighi posti a carico dei genitori, dovuta e limitata all’eccezionalità dell’emergenza sanitaria, necessaria al fine di evitare future contestazioni da parte dell’ex coniuge, che possano incidere negativamente sulla figura del genitore impossibilitato ad adempiere agli obblighi predetti, ma sempre considerando quali fattori preminenti la tutela dei minori e la tutela della salute individuale e collettiva.
Avv. Massimo Baglieri