L’azione di regolamento di confini e l’azione di apposizione di termini: differenze e analogie.

Quando il confine tra due fondi è incerto, ciascuno dei proprietari può chiedere che sia stabilito giudizialmente. Ogni mezzo di prova è ammesso. In mancanza di altri elementi, il giudice si attiene al confine delineato dalle mappe catastali”.

Con questo assunto il legislatore del 1942 ha regolamentato con l’art. 950 del codice civile l’azione di regolamento di confini. Essa è un’azione a difesa della proprietà ed ha natura reale e petitoria e, pur nel silenzio dell’articolo in esame- che nulla dice in proposito – è imprescrittibile, a meno che non venga eccepita l’usucapione[1].

Tale azione non è diretta alla risoluzione di una lite relativa ai titoli di proprietà dei fondi limitrofi, dal momento che è diretta solo all’accertamento dell’estensione dei fondi confinanti al fine di ottenere un tracciamento preciso. Invero, ai sensi della norma in esame, l’azione di regolamento di confini, ha ad oggetto l’accertamento della effettiva estensione dei fondi limitrofi, non essendo in contestazione i rispettivi titoli di acquisto o il diritto di proprietà; la natura dell’azione non muta per il fatto che l’attore chieda il rilascio dell’area di sua proprietà occupata dal convenuto, giacchè, essendo l’effetto recuperativo una conseguenza dell’accertamento del confine, tale domanda non è incompatibile con la proposizione predetta[2].

Per proporre tale azione, quindi, i due fondi devono essere confinanti e deve esistere lo stato di incertezza sui confini tra le rispettive proprietà.

Ma cosa si intende per “fondo”?

Sul punto, la Cassazione ha chiarito che la parola “fondo” indica qualsiasi tipo di immobile.

Pertanto è possibile desumere che quando si parla di fondo ci si riferisce non solo ai terreni agricoli, ma anche a quelli urbani, su cui sono presenti o meno costruzioni. Ne consegue che l’azione di regolamento di confini può proporsi su tutti i tipi di proprietà confinanti.

Chiarito il primo aspetto, interroghiamoci però anche sullo stato di incertezza che deve sussistere tra le proprietà confinanti.

Come fa un giudice a determinare esattamente la linea di confine tra le due proprietà e risolvere la controversia? Quali sono le prove che le parti possono avanzare al fine di sostenere ciascuna la propria linea difensiva? Esiste un ordine per la valutazione delle stesse?

Andiamo con ordine e cerchiamo di chiarire le idee anche ai non addetti ai lavori.

Si è statuito con l’art.950 cc, di cui sopra, che “Ogni mezzo di prova è ammesso”.

Ne deriva quindi che sono ammessi alla valutazione del giudice i titoli di acquisto della proprietà dei fondi; i testimoni o altri eventuali scritti da cui risulti in qualche modo traccia dell’esistenza dei confini quali fotografie, planimetrie, frazionamenti e mappe catastali.

Da tutti questi elementi può dipendere la valutazione e conseguente decisione del giudice. Tutti allo stesso livello costituiscono mezzi di prova da cui il giudice può desumere e stabilire le linee di demarcazione della proprietà.

Con particolare riferimento alle mappe catastali occorre soffermarsi e fare qualche precisazione, dal momento che sulle stesse e sulla loro possibilità di valutazione si è discusso ampiamente sia in dottrina che in giurisprudenza. Eppure la norma sembra essere abbastanza chiara.

Ricordiamo che nel giudizio di regolamento di confini il giudice ha un ampio potere di scelta e di valutazione dei mezzi probatori acquisiti in giudizio. V’è però da chiarire che, il ricorso alle mappe catastali costituisce un sistema di accertamento di carattere meramente sussidiario al quale cioè si può fare riferimento solo in assenza di altri elementi idonei alla determinazione del confine.

Del resto l’art. 950 cc ultimo comma statuisce che il giudice, in mancanza di altri elementi, si attiene al confine delineato dalle mappe catastali.

Inoltre, tale assunto è stato più volte anche ribadito dalla Corte di Cassazione laddove si esplica chiaramente che il ricorso al sistema di accertamento sussidiario costituito dalle mappe catastali è consentito al giudice non soltanto in caso di mancanza assoluta ed obiettiva di altri elementi, ma anche nell’ipotesi in cui questi – per la loro consistenza, o per ragioni attinenti alla loro attendibilità- risultino secondo l’incensurabile apprezzamento volto in sede di merito, comunque inidonei alla determinazione certa del confine[3].

Sempre da un’attenta disamina dei casi discussi e decisi dagli Ermellini risulta che, in tema di regolamento di confini, l’elemento primario di prova per l’individuazione del confine è rappresentato dal tipo di frazionamento allegato ai contratti, o ai singoli atti di acquisto ed in essi richiamati, quale elemento interpretativo della volontà negoziale, non lascia margini di incertezza nella determinazione della linea di confine tra i fondi[4].

Invero, il giudice si atterrà principalmente agli atti di acquisto della proprietà e i relativi frazionamenti allegati. Successivamente valuterà tutti gli altri documenti e fonti di prova acquisiti in giudizio a richiesta delle parti, comprese le mappe catastali.

Orbene però cosa succede se, una volta accertati i confini tra due proprietà questi stessi confini non sono più riconoscibili o tangibili? In questi casi l’azione da proporre non sarà più quella di Regolamento di confine di cui si è parlato sinora, bensì quella di Apposizione di termini.

Con quest’ultima azione, ciascuno dei proprietari dei fondi contigui o limitrofi può instaurare davanti al giudice una causa nel corso della quale chiedere che siano apposti o ripristinati, a spese comuni, concretamente i segni dei confini non più visibili.

Tale azione, sancita e regolamentata dall’art. 951 cc, è di natura personale e si distingue da quella di regolamento di confini di cui si è ampiamente parlato poc’anzi in quanto nella prima il confine tra i due fondi è certo ed incontestato e si vuole soltanto apporvi, perché mancanti o divenuti irriconoscibili, i segni di delimitazione al fine di evitare possibili sconfinamenti o usurpazioni, nella seconda invece, pur prescindendosi da ogni contestazione circa il diritto di proprietà risultante dai titoli, vi è incertezza in ordine alla linea di demarcazione tra fondi limitrofi, il cui accertamento viene rimesso al giudice[5].

Ad ogni modo l’azione di apposizione di termini, presupponendo la certezza del confine implicitamente contiene l’azione di regolamento di confini, e in questa si modifica, ove per la eccezione del convenuto, insorga contrasto sulla linea di confine, lungo la quale i termini devono essere apposti[6] .

In conclusione può riferirsi che la differenza tra le due azioni  risiede nel fatto che mentre nell’ azione di apposizione di termini il confine tra due fondi è certo ed incontestato e si vuole soltanto apporvi, perché mancanti o divenuti irriconoscibili, i segni di delimitazione, al fine di evitare possibili sconfinamenti o usurpazioni, nell’azione di regolamento di confini, invece, pur prescindendosi da ogni contestazione circa il diritto di proprietà risultante dai titoli, vi è incertezza in ordine alla linea di demarcazione tra fondi limitrofi, il cui accertamento viene rimesso al giudice[7].

Per entrambe le azioni vi è un obbligo per la parte istante, ossia quello di instaurare, ancor prima del giudizio, il procedimento di mediazione, il quale ai sensi del d.lgs. 28/2010 art. 5 co.1bis, è da considerarsi condizione di procedibilità dell’azione giudiziaria.

Azione che per l’apposizione di termini verrà esercitata dinanzi al giudice di pace ,mentre per il regolamento di confini dinanzi al Tribunale.  Entrambe sono imprescrittibili, ma in entrambi casi, parte avversa può con domanda riconvenzionale richiedere l’acquisto della parte di immobile conteso per intervenuta usucapione.

Sarà ovviamente il giudice adito, dopo attenta analisi del caso, acquisizione e valutazione delle prove, accertare e dichiarare, anche sulla base di tutte le indicazioni fornite, in più occasioni, dalla Suprema Corte, l’intervenuta usucapione, oltre che la specificazione e determinazione chiara dei confini.

Condofuri Marina (RC), li 21.04.2020

Avv. Elisabetta Caridi


[1] Cass. 27 Febbraio 2008 n. 5134

[2] Cass. 9 ottobre 2006 n. 21686

[3] cfr. Cass. Civ. sent. n. 23682/2015, Cass. Civ. sent. n. 22298/2010, Cass. Civ. sent. n. 10121 del 2002, Cass. Civ. sent. n.14379 del 1999, Cass. civ. sent. n. 5980 del 1998.

[4] Cass. 1 dicembre 2000, n.15386, Cass. 1 Settembre 1997 n. 8327.

[5] Cass. 27 marzo 1990 n. 2461

[6] Cass.30 Aprile 2014 n. 9512

[7] Cass. Civ. Sez. II, sent. n. 2461 del 27 Marzo 1990.